Sullo stato dell’ informazione (ah!)

Consumo molti media. Leggo giornali, ascolto la radio (per lo piu’ in podcast), guardo poca tv di informazione perché mi irrita la modalità, ma abbiamo i maggiori servizi di streaming e li utlizziamo abbastanza. Ovviamente ci sono i social media, che uso anche troppo. Inutile dire che leggo tanti libri, e molti sono non fiction.

Quindi quando ieri ho aperto il computer e ho visto la grande agitazione in Italia per la grave censura che il Principe Azzurro stava subendo, sono rimasta un momento perplessa. Da dove viene tutta questa cagnara? Come me la sono persa?

Naturalmente non entro nemmeno nel merito se il bacio a Biancaneve sia o meno un abuso. Da un lato, parliamo di personaggi inventati (shocking, I know), dall’altro, decenni di femminismo hanno analizzato il problema in maniera decisamente piu approfondita e costruttiva.

Quello che mi ha lasciata perplessa è stato vedere quanta gente si è agitata per una notizia inesistente.

Qualcuno, messo di fronte al fatto che era una semi bufala mi ha detto: non ho mica il tempo di cercare le fonti, io. (Sottointeso: non come te che non hai un cazzo da fare tutto il giorno). Al che ovviamente ho ingoiato la mia risposta, che allora forse non avrebbe avuto il tempo di stare su FB in orario di lavoro.

In generale, anche amici di cui ho stima, mi hanno risposto uscendo dal merito. Io: questa notizia è falsa. Loro: ma la cancel culture.

Non volevo parlare di Cancel Culture, volevo parlare del fatto che i media italiani riportano come notizie interessanti e rilevanti commenti a caso di magazine americane a tiratura di quartiere. Che invece di cercare le notizie, approfondirle, spiegarle, renderle accessibili, fanno l’equivalente del retweet a livello internazionale, e neanche scelgono tweet interessanti.

Ma niente, non c’e’ stato modo di affrontare questo argomento perché la nostra preoccupazione per la libertà di espressione del Principe Azzurro, seguita a ruota da quella per la salute economica di una multinazionale, ci ha occupato tutti i neuroni, e via, prossima notizia, grazie.

It’s a good day to live in DC

Otto anni fa meno qualche giorno, camminando per questa città che sentivo ancora estranea, passai davanti ad uno dei numerosi barbieri che ormai sono diventati caffé o wine bars. Sulla porta, seduti su sedie rivolte verso la strada trafficata da mercoledì feriale, 5 signori afroamericani di mezz’età sedevano pacifici. Uno di loro si toccò la visiera del berretto al mio passaggio e disse “Ain’t it a good day, m’am”. It was indeed a good day, Barack Obama aveva vinto il secondo mandato da presidente, io avevo visto la diretta la sera prima con gli amici in un pub di U Street, con schermi giganti su cui campeggiavano le mappe colorate dell CNN, con l’eccezione di uno che incongruamente trasmetteva una partita di tennis. Eravamo rientrati a casa sul tardi, tranquilli per il risultato praticamente in tasca, un po’ ubriachi di birra e soddisfazione, una piccola folla di vicini di casa sicuri di vivere in un mondo in miglioramento.

Otto anni piu’ tardi lo stesso gruppo di persone e’ ormai in parte disperso, per geografia o pandemia, ma non ci siamo fatti mancare telefonate e messaggini di incoraggiamento, chiamate zoom e vocali whatsapp mentre guardavamo il nostro piccolo mondo volgere verso il peggio.

La notte delle elezioni del 2020 e’ durata 4 giorni, di paura, ansia, sollievo strisciante e poi esasperazione per l’esitazione dei mezzi di informazione. Abbiamo guardato le mappe volgere lentamente dal rosso al blu, il conteggio dei voti muoversi con lentezza da era geologica, e in questa città’ democratica al 92% ci si sfiorava – metaforicamente, a 6 piedi di distanza – per strada con sorrisi tra il terrificato e l’incoraggiante. Dove girera’ il nostro mondo, la nostra città vituperata e festosa, il campo di tante battaglie di fronte ai luoghi di potere, se perdiamo questa elezione?

Stamattina ho dato un’occhiata ormai stanca ai soliti siti, i numeri invariati, i titoli che si fanno eco da un giorno all’altro: gli scrutatori contano, un gruppo di simpatizzanti trampiani li guarda con sospetto, amici italiani mi chiedono com’e’ l’atmosfera. Niente di nuovo, vado a fare la spesa.

Ero a casa, mettevo i piatti in lavastoviglie, forse spazzolavo il gatto? La scossa me l’hanno data i vicini di casa ancora una volta, con urla, clacson, campanacci da mucca. Sono corsa per strada e a distanza ho ballato con Pritam e Kate e la loro bimba di recente guarita dal cancro. Con Bobbie e la sua famiglia di innumerevoli nipoti. Con la giovane coppia che di recente ha preso in affitto il nostro appartamento del seminterrato, con le ragazze della casa accanto. Poi mi sono avviata verso la casa bianca, seguendo i gruppetti che diventavano piu’ numerosi e piu’ colorati man mano che procedevamo verso ovest. Ho ballato ancora, con decine di sconosciuti, con un paio di colleghi che non vedevo da marzo, perche’ lavoriamo ormai tutti da casa. Ho camminato e ballato per la città che non mi e’ piu’ estranea, ma si e’ trasformata in grande vicinato.

E poi sono ritornata verso casa nel 25 gradi di questa giornata di sole splendente, chi l’ha ordinato, grazie assai. Contro mano alla folla festante che continuava ad affluire su Lafayette square, un fiume di gente su NY Avenue, sulla settima strada, fino alla mia via, dove i vicini ancora adesso sventolano bandiere di tutti i tipi e organizzano mini block party, per continuare ballare a distanza fino alla sera.

Domani ci ricorderemo che non tutto e’ miracolosamente risolto, che alcuni di noi avevano sperato in un presidente diverso, ma oggi, fino a stasera, continuiamo a ballare.

Aggiornamenti dalla quarantena

Da queste parti la quarantena e’ piu’ tranquilla che in Italia. Nell’area metropolitana di Washington e’ consentito passeggiare o correre tenendosi a dovuta distanza dagli altri, non c’e’ limite alle visite al supermercato purche’ muniti di mascherina. Gli esercizi commerciali hanno sempre anticipato di circa 24 ore le restrizioni dell’amministrazione, vuoi per maggiore elasticita’, buon senso, marketing o semplice paura di future cause, ma i ristoranti hanno chiuso, i supermercati selezionano gli ingressi ed il numero di persone dentro il locale, tutti reclamizzano a gran voce il take out o il delivery, e nonostante un po’ di difficolta’ a trovare la carta igienica (ma nella mia esperienza, meno di quanto ssembrasse dall’Italia) le cose si sono aggiustate in fretta.

La mia palestra oggi mi ha scritto un’email ringraziandomi perche’ continuo a pagare la retta, rassicurandomi che i soldi vengono spesi per i dipendenti, e poi via ad una profonda critica alle misure che la Georgia vuole adottare per la riapertura degli esercizi commerciali. Noi non siamo in Georgia. E non si parla di riaprire alcunche’ prima di Giugno, e ancora grazie.

Tuttavia la palestra mette le mani avanti: “ci sembra che queste misure siano tremedamente insufficienti a proteggere personale e clienti, stiamo lavorando alacremente con il comune e gli stati adiacenti per stabilire un protocollo che ci protegga tutti al meglio se e quando riapriremo. Una volta stabilita la data, sottoporremo noi stessi, i dipendenti e pure voi ad un training per assicurarci che abbiate tutti capito.”

Gli americani amano comunicazione ed efficienza, ed il fatto che questo particolare esercizio sia anche riuscito a mantenere in servizio la maggior parte dei dipendenti, oltre ad offrire corsi online ed altri perks in cambio del continuato pagamento della retta, gli ah costruito un capitale di fiducia enorme, che con ogni probabilita’ gli permettera’ di riaprire alla fine del caos senza troppo danno.

Nel frattempo i politici sbracano oppure raggiungono vette inusitate di popolarita’, e anche se e’ contro ogni mia fibra “tifare” per i politici come per le squadre di calcio, alcuni si meritano decisamente la simpatia dimostrata dagli elettori.

In una New York devastata dal Virus e dalla crisi economica inevitabile, Andrew Cuomo trasmette vibrazioni da buon padre di famiglia/preside severo ma comprensivo, e all’occasione pesca nel suo repertorio da italo americano per fare il mazzo a Trump, calcando sull’accento del Queens.

Il governatore del Kentucky Andy Beshear e’ riuscito a mantenere i numeri di ricoveri e decessi entro un range accettabili, soprattutto se paragonato alla disfatta del vicino Tennessee.

Il lavoro di squadra paga, e Beshear annuncia che si unira’ a “Eric Holcomb of Indiana, Mike DeWine of Ohio, Tony Evers of Wisconsin, J.B. Pritzker of Illinois, Tim Walz of Minnesota and Gretchen Whitmer of Michigan to closely coordinate plans to reopen the regional economies when the time is right”, ovvero gli stati della stessa area, purche’ governati dal buon senso, cercheranno di regolare insieme le riaperture, perche’ in America la gente si muove tutti i giorni per lavoro, e perche’ pensa un po’ facciamo tutti parte dello stesso paese.

Nel frattempo per le scuole, quasi ovunque se ne riparla in autunno.

La vita prosegue, per chi ha un lavoro e puo’ permettersi di farlo da casa, con pochi scossoni e parecchia solitudine, ma io sono un’introversa e comincio a soffrire anche dei troppo Zoom e Skype meeting. Non si e’ mai contenti.

 

 

 

 

La vita ai tempi della quarantena

Un anno fa esatto mi  è successa una cosa molto bella: ho trovato un lavoro (mi è quasi caduto in braccio) che mi piace molto, divertente, interessante, per niente stressante ma anche sufficientemente complesso. I miei colleghi, un gruppo di gente internazionale e abbastanza giovane, sono simpatici ed interessanti. Il posto e’ vicino a casa, mezz’ora di passeggiata. L’orario è decentemente elastico. Ho avuto fortuna.

Stamattina (la mia città non è ancora barricata) passeggiavo all’ora a cui di solito vado in ufficio, ma poi sono tornata verso casa, perché l’ufficio è aperto ma i dipendenti sono molto incoraggiati a lavorare da casa.

Ho incrociato occasionali joggers e molti padroni di cani, ci siamo sorrisi tutti con simpatia mentre prendevamo i lati opposti sul marciapiede, per stare il più lontani possibile ma trasmettendoci un minimo di calore umano.

Era una mattinata già calda, la primavera è alle porte, e il nostro mondo sembra ancora quello di un mese fa, ma lo vediamo come dietro ad un velo, vicino ed irraggiungibile allo stesso tempo.

Durante il giorno ci si distrae con facilità, la sera sorgono dubbi e paure a cui è difficile dare nome. Tornerà la normalità, di certo, ma quale normalità sarà?

Siamo abituati ormai a muoverci per il mondo con un minimo di preavviso, potremo ancora farlo? Siamo abituati alla gente per strada, ai locali pieni, alle luci e al cibo. Sarà ancora lo stesso?

Un anno fa quasi esatto mi sono sentita come se avessi il mondo ai miei piedi, perché’ mi ero posta un obiettivo e lo avevo raggiunto, oltre persino le mie aspettative. Oggi mi sento fragile e ho paura, a volte, si non riuscire mai più a vedere i miei amici e quel che resta della mia famiglia, certi scorci di Roma e Firenze, la mia piccolissima casa di Torino.

Mi sveglierò domattina più’ positiva e farò un’altra passeggiata finché è concesso, stando lontana dai miei simili ma offrendo il silenzioso incoraggiamento che tutti ci aspettiamo dagli altri.

Ancora una mattina, ancora una sera, un piede davanti all’altro.

 

Black Friday rant

La California brucia, Trump confonde il clima con le previsioni del tempo e comunica che nel nord est degli Stati Uniti fa freddo (posso confermare, con tutto che sono nel Mid Atlantic), intanto la sua amministrazione rilascia un comunicato che dice che il cambiamento climatico non è mai stato reale come oggi (?).

Una cooperatrice internazionale viene rapita in Kenya e un giornalista italiano fa una gaffe meravigliosa, poi ne fa un’altra per rattoppare la prima, ma guardando bene i suoi articoli, forse il suo è uno stile di vita (perbenismo da signora mia con un bel ripieno di sessismo, e non è nemmeno che scriva benissimo).

Ogni tanto leggo un articolo sui giornali americani in cui c’è un malcapitato costretto ad andare a piedi a lavorare, 5, 10, 15 miglia al giorno, per magari 7 dollari l’ora, ma i media sono una forza e qualcuno finisce sempre per regalare al malcapitato una macchina, o almeno uno straccio di bicicletta. Nessuno che si chieda perché i mezzi pubblici in America facciano pietà, quando ci sono, e come questa cosa sia sempre a discapito di minoranze e ceti sociali svantaggiati.

A questo proposito, su Facebook qualcuno confonde la lotta di classe (peraltro praticamente estinta) con il classismo.

Hilary Clinton se ne esce dicendo che i governi Europei è ora che limitino l’immigrazione, per contenere gli estremismi ed i populismi. Come se le cause delle diaspore dai paesi in fiamme ci fossero, a noi europei e americani, completamente estranee, ed un po’ come la giovane donna che va in Kenia a dare una mano questa gente e’ ora che resti a casa propria e si faccia carico dei propri problemi.

Oggi ho ricevuto un notizia poco piacevole (non brutta, che c’entra) e sono irritabile e insoddisfatta e vorrei avere il coraggio e la chiarezza mentale di partire per un paese straniero e fare qualcosa di utile ed idealistico al tempo stesso.

Invece ignoro con ostinazione i richiami del black Friday, navigo sui motori di ricerca di annunci di lavoro e penso se da Gennaio sia meglio fare volontariato alla mensa pubblica o in biblioteca (il rifugio felino e’ ormai deciso).

Ho gravi problemi da primo mondo, in questo uggioso pomeriggio dopo il ringraziamento, eppure ho anche molto di cui essere soddisfatta, felice e grata.

E’ solo che qualche volta il magone e’ alle porte e non c’è tenda oscurante che tenga.

E forse la soluzione sarebbe chiudere questo computer e leggere un libro, ma son 3 settimane che non riesco ad aprire pagina e non so se è causa oppure effetto di questo senso di oppressione.

 

 

Siamo tutti esperti di qualcosa

Ad una settimana dai risultati elettorali dei Mid Terms, qui in America, vorrei commentare non tanto la politica americana – altro post, altra mattina con più di 10 minuti per scrivere – ma i commenti sui suddetti risultati che arrivavano dall’Italia sulla mia bolla di Facebook.

E’ straordinario come siamo anche un popolo di acuti politologi, osservando una mappa colorata e sfornando commenti raffinatissimi come “ma la mappa è tutta rossa, quindi e’ chiaro che hanno vinto i repubblicani”.

Non si contanto i commenti sulla deriva fascista del popolo americano – nel frattempo su un altra pagina aperta nel browser, una donna viene fermata e strattonata per aver fischiato Salvini.

In molti mi chiedono come mai si va verso destra, e io non sono un’esperta, ma ragazzi le analisi online, su giornali e riviste si sprecano, e non tutte concordano con voi, qualcuna si, in ogni caso se volete informazione per amor di Dio uscite da Facebook e trovate fonti ragionevoli.

L’America è un grande giocattolo, vista dal di là dell’oceano. Gente che mette panna acida sugli spaghetti e Coca Cola nel gelato. Gente buzzurra, con un sistema elettorale medievale. E sia, per me ormai e’ il posto dove vivo e devo controllarmi per non controbattere stereotipo per stereotipo, perché francamente ho altro da fare e i miei gatti non vanno d’accordo, quindi scusate vado a giocare un po’ con quello chiuso sopra che piange.

Ma tenete a mente che non si è solo votato per il governo federale. Le elezioni sono state una valanga: ogni stato, ogni contea, ogni comune. Si è votato per governatori e sceriffi, school boards e attorney generals, e ci sono stati anche non pochi referendum, alcuni dei quali hanno dato risultati stupefacenti, in luoghi inaspettati.

Sono state elette donne, minoranze, outsiders, e anche purtroppo molti che non ci piacciono. Ma i movimenti della testa americana – fatta da più di 300 milioni di persone così diverse tra loro in tutti i modi possibili, si vede da queste urne, quelle nascoste nelle scuole di periferia o raggiungibili in metro da New York.

Vado a giocare col gatto, perché tanto non so granché di politica.

 

 

Hocus Pocus

Questo blog non è ancora morto, per ora è tenuto in vita artificialmente, ma è qui per giorni come questo, in cui mi prudono le mani dallo scrivere.

Mercoledì qui era festa, non una festa di quelle in cui si sta a casa dal lavoro, ma una in cui si apre la porta agli sconosciuti, eventualità rara in questo paese ad alta tensione.

Invece la sera della vigilia di Ognissanti, gente mai vista prima, ed in più con indosso maschere che la rendono irriconoscibile, bussa alla porta di altri e richiede pure qualcosa in cambio. E i padroni di casa distribuiscono con gioia caramelle, si intrattengono in brevi conversazione con i nuovi venuti, si informano sui loro abiti con curiosità, invece che con pregiudizio.

E così il giorno di Halloween qui nella capitale dell’impero è stato l’ultimo di un’estate lunghissima, ed il primo di un autunno che si preannuncia caldo, anche se non nel clima.

Siamo sotto elezioni. Voi non ve ne sarete accorti, presi come siete a fare il terzo figlio in cambio di qualche acro scosceso in Irpinia.

Noi anche siamo distratti dalla nostra politica interna: un folto gruppo di migranti organizzati si avvicina al confine con il Messico, un uomo convinto che Soros detenga le sorti del mondo ha sparato in una sinagoga di Pittsburg, uccidendo decine, altri sono morti un una audio di Yoga per mano di un veterano con una storia di violenza familiare, da poco un giudice della corte suprema è stato eletto nonostante le accuse di violenza fatte da un credibilissimo testimone, e tutto si stempera nel già visto, l’orrore fa presto spazio a questo sentimento, questo pensare ma certo, figuriamoci se non andava così.

Ma in questo mercoledì , l’ultimo di ottobre, il CdV ed io siamo seduti al sole sui gradini del Campus dell’università e mangiamo panini alle melanzane, e poi ci imbarchiamo nell’attraversamento della città coi mezzi pubblici (abbiamo venduto la macchina, quella particolare economia dovrà girare senza di noi) e scendiamo presso il campus di ancora un’altra università, per andare a votare.

Il nostro primo voto da cittadini americani.

Non è Election Day, quello che stiamo per fare si chiama early vote, alcuni stati, tra cui DC lo consentono. Le urne sono aperte una settimana prima, sono in una manciata di posti in città. Ognuno può andare dove gli pare indipendentemente dal proprio seggio, e noi scegliamo un rec center, un centro ricreativo comunale non lontano da casa, si chiama Turkey Thicket, ha una piscina coperta, una bella palestra, molti campi esterni per tutti gli sport, è gratuito per tutti e io adoro questa città in questo pomeriggio di sole, circondata da bambini vestiti da dinosauro e genitori che si aggirano cercando i seggi, sorridendosi un po’ con timidezza e complicità, come si fa quando ci si appresta a fare qualcosa di rivoluzionario come votare.

Si vota nella palestra, prima registrandosi presso gentili signore che passano i nostri documenti su uno scanner, il quale sputa fuori una scheda che poi consegneremo ad un altro gentile signore presso le cabine.

Che non sono le nostre buffe costruzioni in compensato divise da una tenda, ma dei computer, montati su piedistalli che li portano ad altezza viso, e tu devi inserire la scheda e ti compaiono i nomi dei candidati e col dito selezioni quelli che vuoi, e la schermata passa oltre.

A DC, se mi seguite lo sapete, non votiamo per il parlamento. Quindi abbiamo da scegliere il sindaco, i consiglieri comunali, quelli di quartiere, il procuratore distrettuale, i membri del board scolastico. E poi il nostro rappresentante al congresso che non ha diritto di voto ma può osservare, e un paio di figure che sarebbero elette come senatori e deputati se solo ci riconoscessero come stato pari a tutti gli altri stati. Noi li votiamo comunque, per dimostrazione e per speranza, non sai mai, cose più strane sono accadute sotto il sole.

E’ stato difficile ricercare i candidati, ho speso diverse ore a leggere liste, dichiarazioni, interviste. Avevo un foglio con i nomi, circa una decina, di rappresentanti per ogni posizione che mi sono parsi il meno peggio.

Che fatica fare i cittadini: ci vuole tempo, ed in cambio provi questi 5 minuti di esaltazione e poi frustrazioni eterne. Ne vale la pena ancora, credo, e i diritti che si hanno vanno esercitati sempre, o poi come si fa a lamentarsi?

Siamo usciti dalla palestra con un adesivo sulla giacca “I voted early”, molti saluti ai volontari che hanno agevolato il processo.

Il sole era ancora alto ed intorno a noi correvano pirati, robot, fantasmi zombies e streghe.

Ho pensato se mi chiedono da cosa sono mascherata rispondo: cittadina americana.

 

In che tempi complessi viviamo, come è forte la tentazione di semplificarli, di trovare un nemico, un cattivo da album a fumetti, o di girare la testa dall’altra parte perché ci abbagliano le alternative, le contraddizioni, l’idea che le scelte dei singoli possano essere dettate da qualcosa di più complesso che un semplice compasso morale con il nord sotto sottosopra.

E che fatica fare i distinguo, eppure mantenere punti fermi. Prendiamo per esempio questa ondata di “white suprematism” che ha travolto gli Stati Uniti negli ultimi giorni.

Cominciamo con il riconoscere che non è una cosa nuova, solo avevamo felicemente scelto di ignorarla. Alcuni individui isolati, che estremizzano i sentimenti altrimenti tersi del resto del paese, non certo una rappresentanza della popolazione americana.

E certamente no. Io personalmente non conosco nessun suprematista bianco (o di altre tinte). Conosco però gente che non esita ad appaiare la corruzione presente nell’amministrazione del Distretto di Columbia con il fatto che la maggioranza dei dipendenti pubblici siano afro americani. E parliamo di una delle città più progressiste d’America. E la corruzione esiste, mica lo nego, così come è reale la demografia della città. Ma a scavare un po’ più a fondo, farsi domande, si suda, che l’estate del distretto è calda e umida.

Il fatto che la corruzione sia endemica nel genere umano non sembra sfiorare nessuno. Che sia più presente in paesi o città con maggiori sbilanciamenti sociali, nemmeno.

Ora è chiaro che andarsene  in giro con fiaccola a minacciare chi è diverso da noi, soprattutto se partiamo da una situazione di palese privilegio, è una cosa sciocca, brutta, vigliacca, fate voi. Chi è intollerante va fermato.

A proposito, avete mai interrotto il pranzo di Natale per rimproverare lo zio che fa battute bonarie sul vicino di casa gay? Si comincia così, sia ad essere intolleranti che ad opporsi all’intolleranza. Lo zio scherza, voi con calma gli fate presente che parla di persone qualsiasi che non meritano il dileggio, neppure bonario, perché di li al pregiudizio il passo è brevissimo. Ma certo c’è da tagliare il panettone, cambiamo discorso. Non vi biasimo, ci sono passata anch’io. Però se avete mantenuto il terreno con lo zio, forse vi riuscirà più facile con il vicino in tram che dice che gli africani puzzano e ci rubano il lavoro, e poi in fine con i neo nazisti, che ne abbiamo anche qui, nell’Italia del velenose bene.

Ma tornado ai neonazisti americani: una volta stabilito che brutto, no! dobbiamo renderci conto che quella era la parte facile. La pressione sociale ha un peso, usiamola. Ma poi chiediamoci che cosa spinge un 20enne ad odiare gente con la quale molto probabilmente non ha mai avuto a che fare direttamente.

Da qualche parte in rete gira una bella intervista ad un signore che girava con gruppi supremacist da ragazzo e poi si riformo’. Adesso guida un’associazione per riportare i giovani estremisti sulla retta via. E indovinate un po’: sono spesso giovani emarginati, con gravi problemi familiari ed emotivi, in cerca di una qualunque forma di comunità e disciplina.

Siete sorpresi? Allora vi meritate i neonazisti.

Passo successivo: chi li strumentalizza. Sfortunatamente sono spesso quegli stessi politici che imbiancano sepolcri sotto elezioni. E dietro di loro, i capitali di chi ha il massimo interesse a mantenere lo status quo. E dietro tutti questi, noi, che amiamo il panettone, il quieto vivere e non prestiamo troppa attenzione alle pieghe della storia e della società, alle motivazioni di chi la pensa diversamente da noi, che abbiamo perso il senso di giustizia larga e al contempo la capacità di essere empatici.

Il discorso vale ancora di più dall’altro lato. I giovani delle minoranze (che poi, minoranza?) etniche sono più a rischio dei bianchi mille class di comportamenti “anti sociali”.

Potrei scrivere un altro post, e molta gente ha scritto libri, sulla definizione di criminale e come può venire strumentalizzata. Ma in ogni caso cominciamo dal basso: perché? Perché i ragazzini delle inner cities entrano nelle gangs? Perché è così facile trovare armi in America? Continuo? No dai, siete gente in gamba,

Allora, tiriamo giù le statue che inneggiano agli eroi schiavisti della guerra di successione. Ma smettiamo anche di “santizzare” i padri della patria, che proprietari di schiavi erano.

Troviamo punizioni adatte per chi inneggia alla superiorità della razza, ancora di più per chi agisce di conseguenza. Ma rimediamo ai danni che anni di commercio degli schiavi hanno fatto ai paesi africani come a quelli occidentali, offrendo opportunità, adesso, a chi non le avute prima. Riparazioni, graduatorie preferenziali in università e posti di lavoro, welfare serio e senza giudizi, le opzioni sono infinite.

Le colpe dei padri non ricadono sui figli. Ma questo non vuol dire che i figli debbano lavarsene le mani. Per il proprio bene, prima di quello altrui.

Senno’ un giorno ci svegliamo e ci stupiamo che Trump sia stato eletto, che un gruppo di forcaioli si affolli su un campus universitario.

Alziamo i tappeti, guardiamo sotto i mobili, anche i nostri, non solo quelli altrui. Non temiamo il cambiamento, senza il quale non avremmo il fuoco e la ruota. Ma assicuriamoci che arrivi equo per tutti.

Più di tutto, non temiamo la complessità. Le cose non sono bianche o nere. Le persone nemmeno. Noi non siamo depositari della RAGIONE. Chi sbaglia può farlo per motivi che superano la cattiveria pura e va capito e aiutato, oltre che punito.

 

 

 

Tour d’Italie 2017

Avviso ai naviganti: date del grand tour di quest’estate, ormai praticamente definite.

1-10 Agosto: Torino

10-18 Agosto: Spinetoli

18-24 Agosto: Reggio di Calabria (come insiste a dire il sito di Trenitalia)

24-28 Agosto: Roma

29 Agosto – 7 settembre: Sardegna (località precise da definire, consigli molto benvenuti)

 

Sapete dove trovarmi.

 

Solitudine

Si impara a gestire i lutti: servono diversi lutti. Si impara che la cosa peggiore non è sempre l’assenza della persona amata, ma il senso di colpa (avrò fatto abbastanza? Avrò fatto troppo?), il senso di mortalità riflesso su noi stessi (siamo mortali anche noi, tendiamo a dimenticarlo), la paura di un fitto in solitudine, ecc.

Nel caso della morte di un animale domestico, il senso di colpa accelera a mille, perché lui non parla, e noi siamo lasciati ad interpretare segnali ovvi solo grazie al senno del poi (faticava a saltare, dormiva più del solito).

Nel nostro ultimo caso, eravamo lontani e abbiamo preso decisioni basandoci parzialmente sull’opinione di chi era sul posto, e parzialmente sul desiderio di non esagerare.

Ho perso un gatto bellissimo, affettuosissimo e ancora pieno di vita. Avrei dovuto farlo portare immediatamente dal veterinario. Sarei forse dovuta correre a casa un giorno prima. Come farò con il gatto rimasto, a lasciarlo in mano ad altri per i prossimi mesi?

Come farò quando, inevitabilmente, perderò anche lui.

Il vantaggio rispetto al perdere una persona cara (a parte l’ovvia differenza tra persone ed animali), è che mi sento libera di piangerlo e di flagellarmi un poco. Anche se solo su queste pagine, il pudore del lutto è rimosso, e rivoglio il mio gatto rosso che mi dorme sullo stomaco subito, adesso. Il mondo è ingiusto, e la vita fa un pelino schifo.

Ecco.