Verso una crisi istituzionale

Un giudice federale emette una sentenza. Gli agenti del Custom Border Patrol la ignorano. CBP fa parte di un’altra agenzia federale, la peggiore, che si chiama Homeland Security.

Siamo preoccupati, offesi, sconvolti: facciamo intervenire gli US Marshalls creando una crisi istituzionale? Facciamo sit in come nel 1968 (John Lewis, leggenda delle lotte per i diritti civili, dopo che gli è stato rifiuta l’incontro con gli agenti del CBP “Why don’t we just sit here and stay a while?”)

Sono entusiasta di vedere il popolo americano reagire con entusiasmo e determinazione.

Ma di nuovo, non raccontiamoci storie. Una breve ricerca e scopriamo che il CBP fa il bello ed il cattivo tempo sui confini a partire dal 2001. E forse prima.

E nessun giudice ha emesso provvedimenti. Nessuna folla si è radunata a proteggere i migranti, spesso provvisti di regolare visto, trattenuti indebitamente ai confini del paese.

Ancora, meglio tardi che mai. Ma se il partito democratico vuole tornare ad avere un minimo di presa politica, non può ignirare la realtà.

Border Patrol is getting away with murder (2016)

Border patrol accuded of Profiling and Abuse (2015)

Border Patrol Abuse Since 2010

 

 

Come i Democratici spianano la strada ai Repubblicani

Possiamo interrogarci a lungo su cosa abbia portato Trump al potere, ma certamente una delle cause è stato il governo democratico di questi ultimi 8 anni.

E non lo dico solo in base al fatto che il popolo vota sui risultati di chi è in carica (che poi non è sempre così, e il NYT ha un bell’articolo su come la percezione di ciò che sia stato fatto sotto l’amministrazione Obama non è sempre corretta, nel bene e nel male).

Mi riferisco in questo caso ad iniziative prese – o non prese – dai rappresentanti demoratici al congresso ed al senato degli Stati Uniti.

Per esempio, se Trump avrà presto un gabinetto formato da milionari neoliberisti, non si può dire che stia introducendo un’assoluta novità: Penny Pritzker, per fare un’esempio, è stata a capo del Department of Commerce, e viene da una famiglia di multimiliardari nel campo dell’immobiliare e della finanza, con una storia di repressione dei sindacati, conflitto di interessi e affari poco chiari in generale.

Cory Booker, congressman del NJ, ha ai suoi tempi di Sindaco di una città del posto collaborato con Betsy DeVos (chiacchieratissima prossima responsabile dell’educazione con Trump) a smantellare la scuola pubblica del proprio stato a favore delle Charter Schools. (da qualche parte su questo blog ho recensito un libro sull’argomento).

Booker di nuovo, insieme ad altri 12 rappresentanti democratici al congresso, ha votato contro la possibilità di importare medicinali più economici dal Canada, non più di un apio di settimane fa.

Quando Bernie Sanders propose al Senato una legge che rendesse impossibile per i Repubblicani smantellare Medicare, lo straccio di rete sanitaria ancora esistente in America dai tempi di FDR, il senato pareggiò il voto, 49 su 49. Indovinate chi si rese introvabile per fare da spareggio in quella intensa giornata? Ma si, proprio Joe Biden, vicepresidente uscente e recentemente premiato da obama con medaglia al valor civile.

Che fare, quando uno gioa contro se stesso, poi queste cose capitano.

 

Farewell, dear neighbor

Obama ha lasciato la Casa Bianca (è forse sfuggito a qualcuno?) la scorsa settimana, con un discorso che ha fatto piangere molti – ma non Michelle, a cui era destinata la parte più commovente, che lo ha invece seguito col sorriso sornione delle mogli di lungo corso.

Presidente molto amato, Mr. Obama, soprattutto ora che ci ritroviamo con un’agghiacciante sostituto, ma anche molto odiato dagli avversari, scatenatore suo malgrado di tensioni razziali (mai il consenso fu così basso tra gli elettori bianchi middle class come quando fece incontrare il professore nero di Harvard erroneamente arrestato di fronte a casa propria con il poliziotto che lo fermò. Un momento che doveva unire gli anicmi ed i cuori, pensa un pò, benvenuti in America.)

Ma se foste qui ed ascoltasse e leggesse le fonti che ascolto e leggo io, vi accorgereste che molto di ciò che Obama si lascia alle spalle è messo in discussione, soprattutto dai suoi sostenitori.

Si parla di politica estera da falco, di una chiusura mai veramente conclusa della prigione di Guantanamo, droni. Ma agli americani la politica estera interessa fino ad un certo punto (e perché, a noi no?).

Se dobbiamo rimproverare qualcosa ad Obama, sono i soldi tolti alla scuola pubblica per darli alle Charter School (e specialmente nel suo distretto, a Chicago). Sono l’intenzionale ignorare la violenza strutturale e reale sui nativi americani, finché non si è più potuto evitare quando la polizia ha attaccato con i cani i manifestanti contro le pipelines.

Nonostante gli sforzi lodevoli nel naturalizzagere i giovani migranti ispanici, questa amministrazione ha anche visto il maggior numero di migranti deportati.

Potrei continuare, certo. Ma vorrei fosse chiaro che il punto non è “maltrattare” Obama. E’ stato un paicere averlo come vicino di casa in questi anni, tranne quando decideva di spostarsi da un punto all’altro della città bloccando il traffico.

Il punto è che dove Obama ha sbagliato, o anche solo lasciato il lavoro a metà, li si è inserita la destra “alternativa”, offrendo visione (se non soluzioni) alla working class in crisi di asfissia, a tutti quelli che non si sono sentiti agevolati o rappresentati.

Quando un politico uscente sbaglia, gli avversari ne approfittano. Quando gli errori vengono mascherati da vittorie, gli avversari vincono.

Bisogna tenere d’occhio più i politici da noi eletti che gli avversari. Bisogna fare pressione su chi ci rappresenta. Se siete in zona, ci vediamo Sabato 21 per una marcia festosa ed aperta a tutti.

La destra “alternativa” e la musica underground

Le notizie sono molte: intanto non vi sarà sfuggita l’esistenza della cosiddetta alt-right, la “destra alternativa” cioè non main stream. Dietro un nome che suona pericolosamente come un festival di musica indie, si nascondono gruppi razzisti e a tratti violenti, socuramente violenti nel nuovo modo “internettiano”, sono giovani, sono tech savvy, e hanno una particolare tendenza a perseguitare i loro bersagli su canali telematici.

Poi c’è la notizia che forse non sapete, e cioè che la città in cui vivo ha una forte cultura musicale underground, e la piacevole abitudine da parte di alcuni residenti, di ospitare in casa propria concertini di band locali emergenti, per aiutarli e farli conoscere ad un pubblico via via più ampio.

Enter Alt Right: i nostri eroi si danno da fare a chiamare le autorità perché interromapano i concerti, citando rischi di incendio o violazioni di sicurezza assortite.

Motivazione: “These places are open hotbeds of liberal radicalism and degeneracy and now YOU can stop them by reporting all such places you may be or may become aware of to the authorities, specifically the local fire marshel [sic],” reads the original post on a 4chan thread that has since been archived. “Watch them and follow them to their hives. Infiltrate social circles, go to parties/events, record evidence, and report it. We’ve got them on the run but now we must crush their nests before they can regroup! MAGA my brothers and happy hunting!” (Via the Washingtonian)

I concerti privati sono culle di liberalismo, degenerazione, il post incoraggia a seguire e denunciare gli eventi in questione, e il “nido deve essere distrutto”. MAGA, è il saluto, ovvero Make American Great Again, e felice caccia.

Uno dice, di tutte le robe che capitano, pare la meno grave. Forse, forse no.

Ma l’attacco all’arte, alla libera aggregazione, e anche – pensa un po’ – alla sfera privata dei cittadini. Quella fa paura, a voi no?

Prima le scuole

In un mondo che tende sempre di più verso la privatizzazione, quella che riguarda gli le scuole di tutti i livelli è la più spaventosa (si, in un certo senso ancora peggio di quella della sanità).

In America il trend è abbondantemente avanzato, cominciando dalla sponsorizzazione delle charter school (scuole alternative a quelle pubbliche, pagate con soldi pubblici) da parte delle aziende o da privati “benintenzionati”, fino alla progressiva corporatizzazione delle università, sia da un pubto di vista del finanziamento (aziende sponsorizzano i dipartimenti di economia, con lo scopo di creare teorie economiche a loro favorevoli. Ed è inutile che vi parli di cosa fanno le aziende farmaceutiche), che dal punto di vista della gestione del personale, con conseguente opposizione ai sindacati e contratti temporanei e privi di qualsiasi benefit per i docenti: infatti le cattedre sono in via di estinzione, sostituite da contratti triennali o part time per molti docenti.

Se da una parte è chiaro che un sistema farraginoso, corporativo, e nepotista come quello italiano è lontano dall’essere la soluzione, togliere sicurezza economica e quindi libertà di espressione al corpo docenti non pare una valida alternativa.

A meno che non si desideri ottenere un corpo discente incapace di pensare e creare al suo posto un gruppo di droni disposti a tutto per dollaro di stipendio….

….adesso che ci penso….

 

Tendenze coabitative dei giovani americani

I giovani americani lasciano casa presto, in genere quando vanno al College, che per loro inizia verso i 18 anni. Questa immagine dei giovani che iniziano presto ad abituarsi ad una vita con poche radici e dei genitori che, superata la sindrome da nido vuoto, adattano allegramente la stanza dei figli a nuovo spazio per hobby, ci è stata trasmessa da film, serie tv e libri ed è ormai parte integrante del nostro immaginario.

Ma a quanto pare corrisponde sempre meno al vero: il Pew Center riporta che il 2014 ha dato inizio al trend inverso. I giovani adulti si ritrovano con più probabilità a vivere con i genitori che da soli, o persino con un partner di sorta.

In parte il cambio di tendenza è dovuto all’età sempre più avanzata per “sistemarsi” (ormai la media è sui 35 anni). Ma vivere con mamma è papà pare essere più comune tra gli uomini che tra le donne, e nel caso di genitori single, è sempre più probabile che sia la madre il capo famiglia.

Inevitabilmente, anche la possibilità di trovare un lavoro che paghi abbastanza da lasciare il nido influisce sulla scelta di restare nel basement di mamma. Il prezzo delle case in America (e altrove) è in rapida ascesa ormai da decenni.

Ancora, il fenomeno sembra riguardare maggiormente giovani con alto grado di istruzione, che anche hanno la tendenza a sposarsi più tardi, ma la tendenza si inverte se analizziamo il fenomeno per etnia.

Penso che questi trend riflettano perfettamente una situazione economica che è – o viene percepita  – come sempre più instabile dai giovani, che preferiscono il porto sicuro finché non si sentono perfettamente in grado di spiccare il volo.

Chi ha votato per Trump

Dal mio rifugio torinese, sono almeno in parte al riparo rispetto alla grande ondata di ansia e di paura che ha travolto la mia porzione di America in seguito all’elezione di Donald Trump. Ovviamente mi raggiunge grazie ad email e telefonate di amici, e poi i social media: ma sono di quelle che usa i social media per gattini, lune e fotografie di piatti succulenti, quindi mi impressiono meno. (Penso seriamente che sia l’unico modo sensato di usare i Social Media, ma questo è un altro post).

Però una cosa è certa: più ancora di Trump, Paul Ryan, ed il loro gabinetto di estrema destra che si va delineando, mi fanno paura quelle persone che hanno votato per il candidato Repubblicano, chi per estremismo, chi per esasperazione nei confronti della politica percepita come main stream, chi per semplice opportunismo.

Ma chi ha votato per Trump?

Intato, hanno votato per lui i grandi elettori, ma non la maggioranza dei cittadini. Se questo vi stupisce, fate pure un corso accelerato sul sistema del voto americano.

Poi ci sono quelli che non hanno votato affatto: circa la metà degli aventi diritto, a quanto pare. Ma non molti di più di quelli che non hanno votato nel 2012, secondo 538.com, quindi non gli si può attribuire colpe più di tanto.

Lo hanno votato con un margine del 21% i bianchi non ispanici (e qui entriamo nel delirante mondo delle suddivisioni razziali e culturali negli USA). Ovvero i bianchi bianchi. Caucasici, li chiamavano un tempo.

Naturalmente lo hanno votato più uomini, ma anche più donne del previsto – fanno eccezione le donne afro americane, a quanto pare.

Lo ha votato gente senza educazione universitaria, e, di nuovo, specialmente se maschi bianchi.

Non lo hanno votato i giovani, che in compenso non hanno votato volentieri nemmeno per Clinton.

Insomma, la classe operaia bianca, in via di estinzione in America, pare abbia alzato la testa all’improvviso, quando tutti la davamo per persa.

Ma ecco la sorpresa: anche bianchi con diploma universitari tendono ad aver votato per Trump. 49% contro 45%.

Chiaramente prendere tutti questi gruppi singolarmente non ha molto senso. Le variabili razza, genere, scolarizzazione, reddito, vanno tutte soppesate.

Resta il fatto che il nostro a breve sarà seduto comodo nell’Oval Office, i danni che può fare con le camere dalla sua parte sono quasi incalcolabili.

Intanto è già stato danneggiato il clima politico americano, un tempo relativamente pacato e ormai preda di deliri ed insulti come qualunque periferia dell’impero.

Poi sono stati danneggiati i sistemi nervosi dei miei amici, che vivono la politica con fervore religioso (benvenuti a Washington DC), e faticano a staccarsi dai cupi pensieri.

Insomma sediamo e vediamo, e teniamo le dita incrociate.

 

 

Aspettando gli esiti

Oggi votano, nella mia casa oltre oceano. Nei feed di Facebook, al telefono, per email, la sensazione è di un crescente panico, la paura tangibile che vinca Trump.

Ovviamente i miei amici la pensano come me 🙂

Ma non ricordo tutta questa tensione per la scorsa elezione presidenziale, forse perché è raro che il presidente uscente perda, forse perché Romney, contutto il suo litismo è lieve vena di follia (ricordate la storia del cane sul tettuccio dell’auto) sembrava meno fuori dalle righe di Trump.

Io non penso tuttavia che fosse meno pericoloso. O che le sue politiche fosser più moderate verso il centro.

Ma questa volta il clima è di reale isteria. Anche, e questo è il bello della macchina elettorale americana, di reale mobilitazione. La gente esce, si assicura di aver espresso la propria opinione porta a porta, si confronta e compie passi concreti, anche se di piccola entità, per sostenere il proprio candidato.

Insomma, domani a quest’ora avremo un’idea, e tenete incrociate le dita, che non si sa mai.

Breve, incompetente analisi su Trump

Qualche sera fa, fi fronte ad una tavola molto toscana in compagnia di tre americani italofili, si discuteva di cosa ci ha portato a questa situazione. Che di questi tempi, parlando con amici americani, si traduce inevitabilmente in: come diavolo è successo che abbiamo codesto candidato alla presidenza – leggi Donald Trump.

Non mancavano le ipotesi (i nostri amici sono gente colta, pensante e dotata di senso critico).

Ma direi che possiamo fare un riassunto:

  1. La società; sono anni che ci dirigiamo in questa direzione, il sistema scolastico produce cittadini con eccezionali skill e poco senso critico. Altri gruppi vengono interamente esclusi dalla via che porta al benessere, per non parlare di quella che porta all’influenza.
  2. I votanti; anche se sembra che Clinton sia in vantaggio, i supporter hard core di Trump ci credono veramente. Come è possibile?
    1. Trump mostra un’autostima – che ai nostri occhi pare ingiustificata – che a quanto pare invece fa molta presa su gente che ne ha poca di suo.
    2. Quando questo metodo non funziona, grida all’ingiustizia. Il che propabilmente sarebbe vero dal punto di vista dei votanti, molti dei quali fanno parte dei margini della società neoliberista (interessante ovviamente vedere che invece uno come Trump ne è esattamente al centro).
    3. Fa leva sulla paura dell’altro – questo è un metodo collaudatissimo e sta funzionando in tutta Europa e nel mondo)
    4. Sfiducia nelle istituzioni: il governo cerca di fregarti, l’altro candidato cerca di fregarti, la scuola cerca di fregarti, e così via. Da notare che non penso che abbia interamente torto, ma il trucco è non lasciare che i propri votanti  identifichino lui stesso con questa particolare fascia della società, il cosidetto 1%, mentre chi si schiera contro Trump lo vede esattamente in questo modo. Ancora più interessante poi che anche l’altro candidato sia, pure con modi molto più civili, parte di questa stessa fascia.
    5. (o 4b) In vista di una possibile perdita delle elezioni, il suo gruppo di sostenitori si sentirà completamente defraudato e vedrà il punto 4. come evento reale sulla propria pelle. Avevano una chance, gli è stata tolta da forze superiori maligne.

Non sono realmente preoccupata che Trump vinca queste elezioni. Ma sono preoccupata di come queste persone reagiranno alla sconfitta, e spero che il prossimo presidente, insieme a tutto il governo eletto sappia come dar loro motivo di riguadagnare fiducia in una società che, onestamente, non se la merita un granché, questa fiducia.

Stati di polizia

Avrete sicuramente letto, visto o sentito dei numerosi “incidenti” – chiamiamoli così – che coinvolgono spesso i poliziotti in America, quando nel corso delle loro funzioni hanno reazioni decisamente eccessive e fuori luogo nei confronti delle persone con cui interagiscono – defini “sospetti”- che spesso risultano in grave danno fisico, se non nella morte dei suddetti.

I casi sono frequenti e sempre più spesso portati all’onore della cronaca da testimoni dei fatti che si improvvisano reporters grazie a smartphone e telecamere, e poi vengono amplificati dai social media.

E’ importante sottolineare che molto spesso – troppo spesso – le vittime di queste razioni eccessive da parte della polizia sono ragazzi giovani, facenti parte di minoranze etniche. E’ quindi evidente che ci troviamo di fronte ad un razzismo endemico e spesso strisciante (finché non esplode nei casi sopra citati) e sicuramente ad una preparazione assolutamente insufficiente – se non volontariamente colpevole – delle forze dell’ordine.

Poi oggi sono venuta a conoscenza di un fatto avvenuto a maggio scorso, che non si è minimamente affiacciato alle cronache.

Una biblioteca pubblica americana si è trovata – l’articolo dice con grande riluttanza -a dover assumere delle guardie – poliziotti in pensione – durante eventi pubblici in Biblioteca, a causa di episodi di violenza avvenuti nelle vicinanze.

Duarante la presentazione di un libro, uno scambio di vedute tra l’autore ed un attivista si è risolto con l’arresto e la denuncia dell’attivista e del direttore dei programmi della biblioteca a causa di un intervento immotivato – le prove video sembrano confermarlo – da parte dei due poliziotti, i quali hanno scambiato un discussione aperta per un tentativo di inizare una rissa.

Dagli stessi video si evince  che le guardie non sembrano rendersi conto che una biblioteca è un luogo pubblico dove per definizione tutte le vedute politiche sono benvenute, purché espresse – come accadeva in questo caso – con rispetto e senza violenza.

In un mondo che so va privatizzando, e dove ognuno difende il proprio giardinetto a dispetto del bene comune, non sorprende neanche troppo che i poliziotti in pensione non abbiano il senso di “luogo pubblico”.  E che il bibliotecario sia stato a sua volta fermato e denunciato, quando avrebbe dovuto forse essrre percepito come il “datore di lavoro”.

Soprattutto se cnsideriamo che ad oggi le denunce non sono state ritirate, ma anzi l’uffico del PM (per tradurre malamente dal sistema giudiziario americano) ha annunciato che le denuncie verranno portate avanti.

Questo fatto in particolare, avvenuto a Kansas City, mi pare esemplificativo del distacco tra forze dell’ordine e sistema giudiziario, che si pongono sempre di più non a difesa dei cittadini nel loro insieme, ma di un ordine prestabilito percepito – di cui spesso loro stessi non capiscono bene i confini – che vede ogni comportamento volontariamente o involontariamente fuori dal coro come sovversivo.