Non se se seguiate gli Oscar, pardon, gli Academy Awards, a parte un’occhiata al giornale in giorno dopo la serata dei premi. Qui è un affare sentito, la gente si riunisce in serate casalinghe o nei cinema per vedere i film che erano sfuggiti, si organizzano parties la sera della premiazione, e soprattutto se ne discute e dibatte con un occhio al razzismo/sessismo/altri ismi assortiti.
Soprattutto a fronte del crescente discorso sulla “diversity” nei media (lo scorso anno l’industria editoriale capitolò – un pochino – riguardo al fatto che al maggiore evento fieristico nazionale la percentuale di scrittrici donne e minoranze era irrisoria), una si aspetterebbe un occhio speciale e specialmente visti i problemi razziali che l’America sta affrontando da sempre ma che sono nell’occhio del ciclone ormai da mesi.
Invece niente, nemmeno una nominaton ad attori di colore, nemmeno quando erano numerosi o il film era a specifica tematica. In quel caso addirittura, si è assegnata una nomination all’unico bianco del cast, o all’unico bianco dietro le quinte.
Più che una dimenticanza, questa volta sembra un vero e proprio schiaffo in faccia ad una porzione della popolazione. Una porcata, direbbe qualcuno.
E infatti la reazione non tarda ad arrivare, e si moltiplicano le minacce di boicottare la serata, e l’istituzione. Istituzione però che a questo punto pare talmente eradicata dalla realtà, che ci si chiede se abbia persino coscienza, di queste voci che arrivano da tutt’intorno, scandalizzate, offese, derisorie. Mi immagino il signor Academy chiuso in uno studio di pannelli di rovere, con whiskey di malto e sigaro in bocca, ormai troppo anziano e troppo testardo per accendere l’apparecchio acustico e rendersi conto che il mondo intorno a lui sta cambiando.
Qualcuno lo aiuti ad allacciarsi il cravattino.
Nel frattempo, alcuni attori bianchi (namely, Charlotte Rampling) replicano che dovrebbe vincere gli Oscar chi è più bravo, senza relegare quote a minoranze varie.
Anche il nostro Massimo Gramellini si è associato a questa opinione, in un Che tempo che fa che ho visto di straforo l’altro giorno.
Un’opinione del genere per prima cosa parte dal presupposto che l’Oscar lo vincano i più bravi, opinione talmente naif che fa quasi ridere. Ma soprattutto non tiene in nessun conto la realtà del razzismo strutturale degli Stati Uniti (e non solo loro).
Il problema consiste nella mancanza completa di visibilità da parte delle minoranze in una società che finge di essere omogenea per evitare l’imbarazzo di una realtà post coloniale ancora molto presente.
Fingiamo pure che gli attori neri siano meno bravi di quelli bianchi, ma soprattutto ignoriamo che l’establishment di Holliwood, e non solo, è fatto principalmente di uomini bianchi di una certà età, che le attrici donne hanno una loro categoria a parte perché è il modo più semplice per fornire una vernice di uguaglianza, che certi film non arrivano neanche nel sub radar della maggioranza della gente perché le case distributrici non vogliono fare scelte che considerano rischiose.
Signor Gramellini, prima di fare dichiarazioni da bimbominchia, si guardi tutti i film con protagonisti attori di colore quest’anno (se li guardi in lingua originale, se le riesce) e poi decida dove sono gli attori bravi e quelli no.
Le suggerisco di cominciare con “Beast of no nation” e “Creed”.
(scusate, ma m’ha fatto venire un nervoso…)