I am not your Negro

di Raoul Peck

Questo film esce in un momento particolare della storia Americana. Questo film sarebbe potuto uscire in qualsiasi altro momento e la sua importanza sarebbe stata ugualmente forte.

Quello che importa ancora di più, sono la prosa e la presenza di James Baldwin, intellettuale americano che tutti dovremmo leggere ed interiorizzare. Non solo gli americani.

Baldwin è sdoppiato nel film: da una parte la sua prosa, importante, raffinata, chiara, rilevante in ogni momento, recitata, letta dalla voce penetrante di Samuel L. Jackson. Dall’altra la sua presenza fisica, nei filmati di repertorio e nelle interviste tv, nelle lezioni universitarie. Un oratore splendido ma anche una persona direttamente coinvolta, di reazione veloce ma mai eccessiva, eppure sempre puntuale.

In una delle ultime scene Baldwin reagisce ad un commento tra il qualunquista e razzista di un professorone di Harvard, e il pubblico il sala esulta, perché è la vittoria retorica di chi ha ragione contro quella di chi ha gli strumenti per averla.

Dice Baldwin: the history of African Americans is American History. And it isn’t pretty.

Non, non lo è. La storia lo è di rado, questa storia si riflette ancora sul nostro presente, e non è gentile, non è consolatoria.

Dice Rolling Stone che questo film trasforma Baldwin in un profeta. Tramite immagini giustapposte di Selma e Ferguson, Bob Kennedy e Barack Obama, e la retorica pulita e visionaria dello scrittore. Il problema è se mai che non si è imparato nulla che non si è risolto nulla, e che la violenza è reale, non metaforica, sui corpi degli afro americani.

Un excursus sugli eroi dei diritti civili, Martin Luther King Jr., Malcolm X, Medgar Evers, ognuno con un diverso approccio, ognuno ugualmente assassinato, fanno pensare che l’acqua, sotto i ponti passi invano, e che forse ha ragione Baldwin, la paura fa 90 in questo paese incapace di guardarsi dentro.

This is not the land of the free. This is occasionally, and reluctantly, the home of the brave.

Spotlight

di Tom McCarthy

Mentre Spotlight vinceva l’Oscar, la sottoscritta lo vedeva in un cinema del queartiere.

Sono contenta che abbia vinto, ok? Non mi vergogno di amare i film di attori, con parole parole parole, che affrontano temi scomodi e mostrano il tedio di chi fa un lavoro da spulciamento archivi, di quelli che fanno perdere diottrie alla velocità della luce.

E come film di attori questo è eccellente. Vi voglio vedere, dato il soggetto, a interpretare la parte di uno che ascolta a e prende appunti.

E’ una storia vera, anche troppo frequente, ed è una storia di stampa che scava e vince, sono cose che non si vedono quasi più.

E poi, potrei avere una cotta imbarazzante per Mark Ruffalo. E per Billy Cudrup. E per Rachel MacAdams e i suoi abiti “nononsense e put together”.

I buoni vincono, almeno un po’.

Sono uscita dal cinema di bun umore. (tranne per quel dettaglio, si, la Chiesa Cattolica)

 

Oscar Night

Ieri un’amica mi chiedeva se qui la serata degli Oscar e’ motivo di festeggiamento.

In genere ci si ritrova con amici e vicini a casa di qualcuno fornito di tv via cavo e si cerca di rimanere svegli fino almeno alla premiazione degli attori protagonisti.

Ieri sera invece si e’ optato per andare a vedere Spotlight in un cinema di recente apertura, vicino a casa, che e’ una vera figata, ci si puo’ anche portare il drink in sala, le poltrone sono larghe, imbottite e comodissime e le sale contengono non piu’ di una 50ina di spettatori cosi’ non si e’ mai troppo vicini o troppo lontani dallo schermo.

Insomma ci sono dei vantaggi a vivere in una zona di hipsters.

Il film, ne parlero’ piu’ avanti, ma posso dire che almeno gli abbiamo portato bene?

Razzismo a Hollywood

Non se se seguiate gli Oscar, pardon, gli Academy Awards, a parte un’occhiata al giornale in giorno dopo la serata dei premi. Qui è un affare sentito, la gente si riunisce in serate casalinghe o nei cinema per vedere i film che erano sfuggiti, si organizzano parties la sera della premiazione, e soprattutto se ne discute e dibatte con un occhio al razzismo/sessismo/altri ismi assortiti.

Soprattutto a fronte del crescente discorso sulla “diversity” nei media (lo scorso anno l’industria editoriale capitolò – un pochino – riguardo al fatto che al maggiore evento fieristico nazionale la percentuale di scrittrici donne e minoranze era irrisoria), una si aspetterebbe un occhio speciale e specialmente visti i problemi razziali che l’America sta affrontando da sempre ma che sono nell’occhio del ciclone ormai da mesi.

Invece niente, nemmeno una nominaton ad attori di colore, nemmeno quando erano numerosi o il film era a specifica tematica. In quel caso addirittura, si è assegnata una nomination all’unico bianco del cast, o all’unico bianco dietro le quinte.

Più che una dimenticanza, questa volta sembra un vero e proprio schiaffo in faccia ad una porzione della popolazione. Una porcata, direbbe qualcuno.

E infatti la reazione non tarda ad arrivare, e si moltiplicano le minacce di boicottare la serata, e l’istituzione. Istituzione però che a questo punto pare talmente eradicata dalla realtà, che ci si chiede se abbia persino coscienza, di queste voci che arrivano da tutt’intorno, scandalizzate, offese, derisorie. Mi immagino il signor Academy chiuso in uno studio di pannelli di rovere, con whiskey di malto e sigaro in bocca, ormai troppo anziano e troppo testardo per accendere l’apparecchio acustico e rendersi conto che il mondo intorno a lui sta cambiando.

Qualcuno lo aiuti ad allacciarsi il cravattino.

Nel frattempo, alcuni attori bianchi (namely, Charlotte Rampling) replicano che dovrebbe vincere gli Oscar chi è più bravo, senza relegare quote a minoranze varie.

Anche il nostro Massimo Gramellini si è associato a questa opinione, in un Che tempo che fa che ho visto di straforo l’altro giorno.

Un’opinione del genere per prima cosa parte dal presupposto che l’Oscar lo vincano i più bravi, opinione talmente naif che fa quasi ridere. Ma soprattutto non tiene in nessun conto la realtà del razzismo strutturale degli Stati Uniti (e non solo loro).

Il problema consiste nella mancanza completa di visibilità da parte delle minoranze in una società che finge di essere omogenea per evitare l’imbarazzo di una realtà post coloniale ancora molto presente.

Fingiamo pure che gli attori neri siano meno bravi di quelli bianchi, ma soprattutto ignoriamo che l’establishment di Holliwood, e non solo, è fatto principalmente di uomini bianchi di una certà età, che le attrici donne hanno una loro categoria a parte perché è il modo più semplice per fornire una vernice di uguaglianza, che certi film non arrivano neanche nel sub radar della maggioranza della gente perché le case distributrici non vogliono fare scelte che considerano rischiose.

Signor Gramellini, prima di fare dichiarazioni da bimbominchia, si guardi tutti i film con protagonisti attori di colore quest’anno (se li guardi in lingua originale, se le riesce) e poi decida dove sono gli attori bravi e quelli no.

Le suggerisco di cominciare con “Beast of no nation” e “Creed”.

(scusate, ma m’ha fatto venire un nervoso…)

 

Nuove aggiunte al National Film Registry

La Library of Congress gestisce questo catalogo di film importanti, che siano visivamente e culturalmente rilevanti, e ogni anno il Biblitecario ne aggiunge 25, che siano almeno vecchi di 10 anni.

Se uno fosse ancora in cerca di improbabili challenge per il nuovo anno – siamo ancora a gennaio, no?-, questi 25 film entrerebbero di diritto nelle cose da vedere per il 2016.

Ma purtroppo (o per fortuna?) l’anno è già intenso ed impegnato.

Comunque quest’anno, tra gli altri (lista completa qui) nel catalogo è entrato Top Gun, Dracula – versione in spagnolo del 1931 -, Ghostbusters, The Shawsjhank Redemption, ma anche un’imperdibile The Story of Menstruation, (A.D. 1946) sponsorizzato da Kimberly and Clark and prodotto, meravigliosamente dalla Disney. No, devo averlo!

 

Il ponte delle spie

Ho visto questo film in aereo, venendo verso gli USA, quindi non chiedetemi niente sul livello tecnico della regia 🙂

A quanto pare è tratto da una storia vera, un avvocato di New York che si trasforma in negoziatore ufficioso per la CIA all’inizio della guerra fredda, con ottimi risultati.

Ci sono alcune cose interessanti: la spia russa è un signore molto simpatico che tutti vorremmo invitare a cena (aren’t you afraid? gli chiede l’avvocato. Would it help? risponde lui); Berlino mentre il muro viene costruito, la tensione tra governo russo e la repubblica democratica tedesca, insomma un pelo meno bianco/nero di quanto i film americani sulla seconda guerra mondiale e le sue conseguenze tendono ad essere .

Tutti i personaggi sono interessanti e ben recitati, non si riesce a schierarsi da una sola parte, ci sono nuances. Alleluja.

Tom Hank è inevitabilmente l’eroe bianco che salva tutti (ma proprio tutti), guidato da una morale ed un senso del dovere invidiabili, oltre che da un attaccamento alla costituzione americana che comincia a starmi sulle balle, ma sarà che vivo qui. Rappresenta la determinazione Holliwoodiana, ma non solo, di vedere il buono e sempre e solo il buono di questo “grande paese”, e dobbiamo dimostrare agli altri che siamo migliori di loro, ecchepalle. In compenso c’ha il senso dell’umorismo, che è qualcosa. (“who’s gonna come to recognize me?” chiede la spia russa. “Hopefully not your eastern german family. They can barely tell each other apart” risponde l’avvocato).

Ma d’altronde poi ci sono frasette che redimono almeno in parte: “è un traditore” dice la moglie dell’avvocato riferendosi alla spia russa. “Non è un traditore, risponde lui, non è mica americano, come fa ad essere un traditore”. Ah, grazie.

Non ci sono esplosioni, pochi morti e visti da lontano, la tensione si regge sulla recitazione, è un film d’attori e di regia, e quindi il mio genere.

Comunque, vabbé, alla fine va giù liscio, persino se guardato all’una di notte sul minuscolo schermo, dai minuscoli sedili dell’economy class di United Airlines. Perciò magari al cinema è anche meglio.

 

 

Irrational Man

di Woody Allen

L’ho visto alla fine dell’anno scorso, questo film, in un cinema del centro, un pò sotto Natale ma lo spettacolo delle 20 non è mai troppo inflazionato.

Woody Allen è stato un grande amore cinematografico della mia gioventù, ma mi pare che senta gli anni, e non smetterò di andare a vedere i suoi film come protesta censoria per i suoi discutibili costumi sessuali – ché non son giudice di niente, smetterò semplicemente perché i suoi film non mi pacciono più.

Questo Irrational Man poi sono tre film, la prima mezz’ora la storia di un insopportabile docente di filosofia coì preso dalla propria presunta sofferenza da risultare intollerabile – e non stiamo neache a menzionare le pillole di pensiero filosofico dispensate come se fossero frasi da carta dei cioccolatini – ma comunque mai intollerabile quanto la giovane studentessa brillante ma tanto influenzabile e al contempo un po’ lolita e approfittatrice, o la profia di chimica alcoolista, fedigrafa ma in fondo in fondo romantica che cerca di salvare il bel tenebroso da se stesso. Per storie tra uomini neurosincratici e donne brillanti vedi Annie Hall.

Poi succede qualcosa e il film si trasforma in una commedia nera piacevole ma certo non un capolavoro, e poco interassente in generale, anche se Joaquim Phoenix – che interpreta il professore – prende improvvisamente vita come attore (e qualcuno aiuti il suo dietologo).Vedi Manhattan Murder Mistery, per una commedia nera un poco più intrigante.

Consumato il dramma, ecco il terzo film: la nostra lolita diventa improvvisamente un grillo parlante, acquisendo una coscienza, e cerca di spingere il tenebroso protagonista a fare la cosa giusta, che lui pensa di aver già fatto comunque. Per un’analisi ben più approfondita ed interessante su giustizia, sfumature di grigio tra buoni e cattivi e retribuzione dei peccati, vedi Crimes and Misdemeanors.

Insomma, ci sono vecchi film di Allen tra cui scegliere, mi sa che ho dato con quelli nuovi.

Tempo Instabile con Probabili Schiarite (2015)

di Marco Pontecorvo

È un film garbato, con un paio di buone idee, solide interpretazioni, e un pò di stereotipi italiani ma trattati con leggerenzza.

In un paesino delle Marche, i gestori di una cooperativa in crisi vengono sorpresi dalla scoperta di un pozzo petrolifero in cortile. La prospettiva di potersi arricchire provocano uno scossone nei rapporti dei soci, mettendo in luce i diversi aspetti delle rispettive personalità. Chi vuole arricchirsi e basta, chi vuole salvare l’ambiente, chi vorrebbe condividere la nuova risorsa con tutto il paese.

La situazione sembra precipitare, ma naturalmente trattasi di commedia, da prendere con leggerezza ed in cerca del lieto fine.

Come storia parallela, il figlio di uno dei soci è un disegnatore di manga, e ci sono dei siparietti con l’animazione dei personaggi, che peró non rinunciano al dialetto marchigiano.

 

Turtutto e Zingaretti nel Cast.

Il Giovane Favoloso

Di Mario Martone

Arrivo tardi, lo so, e d’altronde questo è il dramma dell’emigrante (ah ah). I libri si reperiscono facilmente, i film sono un pò più ardui, mica tutto passa da Netflix. (Questo poi magari si, mica ho controllato).

Insomma in città c’è un gruppo di volonterosi italofoni o italofili (non italiani) che organizza visioni di film circa una volta al mese, nella sala della Casa Italiana, ovvero il circolo di Italoamericani con cucina e chiesa annesse che non manca in quasi nessuna grande città Nord Americana.

Quindi ci siamo cuzzati due ore abbondanti, seduti su sedia di finta pelle, di Giacomo Leopardi in versione Elio Germano che soffre, annusa libri, e si rotola sulle sponde dei fiumi di tutta Italia.

Ora sembra male, detto così, ma il film non mi è mica dispiaciuto, anzi, gli attori sono bravi, la storia avvincente anche se magari la narrazione va un pò lenta, qua e là, ma nel complesso, non male. L’unica cosa che ci ha lasciato perplessi, ci si diceva col CdV attraversando Judiciary Square dopo la proiezione, sono certe libertà – presumiamo – che si è presa la sceneggiatura. Risulta da alcuna parte che Leopardi visitò mai un basso napoletano con tanto di prostituta ermafrodita? E che lo fece in preda ad una specie di semi delirio? E soprattutto, perché?

E insomma, gli davo anche un discreto voto, al film, ma poi mi scrive un’email l’amica americana con cui abbiamo visto il film, che non c’era stato tempo di discuterne, sul momento. E mi dice, l’amica: era proprio un’anima torturata, questo poeta. E allora mi viene l’attacco di bile.

Perché alla fine io ci ho messo il mio filtro, davanti a questo film, quello che ama il Leopardi delle operette morali, il filosofo e pensatore tagliente e straordinariamente lucido e moderno. E invece a chi di Leopardi non sa nulla (e sia chiaro, non è che io sia un’esperta), il film restituisce esattamente l’immagine che da generazioni viene venduta ai liceali, il povero poeta sfortunato in amore e in salute, ma con un animo tanto, tanto sensibile.

Chiaramente qualcosa è andato storto, nella narrazione di Martone. Ma francamente, di rivedermi il film per capire che cosa, non ne ho proprio voglia alcuna. Semmai, mi leggo un po di Leopardi.

Habemus Papam

di Nanni Moretti

Mi piace andare al cinema, mi piacciono i film perché mi piacciono le storie, quelle interessanti e ben raccontate. In rari casi, esco dal cinema in stato di grazia, la storia che mi è stata raccontata è pressoché perfetta, e io mi ci sono persa dentro, la sensazione di magia dura ancora un pò mentre torno a casa, in alcuni casi per giorni.

Questo è uno di quei film, una di quelle storie.

Un papa viene eletto, e l’uomo sotto l’abito non si sente all’altezza, non ce la fa. Mentre lui si macera nell’ansia e nel dubbio, il vaticano ed il mondo attendono, in un vuoto di leadership che spiazza e spaventa, ma crea inaspettate opportunità.

Non vi dico altro, perché non sarebbe giusto, ma il film è bellissimo, con immagini eccezionali e molta ironia, ma quasi nessun sarcasmo.

Non è una critica al clero (qui estremamente fotogenico nelle sue vesti cardinalizie) ma una riflessione sul potere e sulla responsabilità, sulle scelte e su una società che forse è ormai senza padre.

Si esce dal cinema soddisfatti ma non sazi, e resta il dubbio che, se propeio un papa deve esserci, Michel Piccoli con i suoi dubbi e le sue esitazioni, la sua dolcezza e le strade non prese, sarebbe l’unico vero papa possibile.